Lo scorso gennaio, gli argentini hanno eletto come presidente Javier Milei, l’ultraliberista chiamato a mantenere in linea di galleggiamento un Paese che ormai da decenni versa in uno stato emergenza economica estrema – detiene il più alto debito nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, pari a circa 44 miliardi di dollari – che ha portato al di sotto della soglia di povertà più della metà dei 46 milioni di abitanti. Una situazione che scaturisce da precise responsabilità politiche di classi dirigenti alternatesi nel corso del tempo senza conseguire alcun risultato apprezzabile. Il programma di Milei prevedeva – tra le altre cose – l’abolizione della Banca Centrale, l’imposizione del dollaro come moneta ufficiale argentina, l’eliminazione di qualsiasi intervento forma di intervento pubblico e l’adozione di una politica estera rigorosamente allineata a quella degli Stati Uniti. L’intraprendenza del presidente è stata ostacolata dallo scarso peso che il suo partito, La Libe