Ecco l’Extremely Large Telescope: semplicemente, il più grande
Già in costruzione da qualche anno nel deserto di Atacama, in Cile, a oltre tremila metri sul livello del mare, e pronto a entrare in funzione entro la fine di questo decennio, è – semplicemente – il più grande telescopio ottico mai realizzato nella storia dell’umanità. Dando fondo alla scorta degli avverbi, lo hanno chiamato Extremely Large Telescope. E non è un’esagerazione: non esiste al mondo – nemmeno sulla carta – un occhio puntato verso il cosmo grande quanto il suo specchio primario da 39 metri di diametro. Composto da 798 segmenti esagonali ciascuno dei quali misura 140 cm di diametro, è in grado di raccogliere una quantità di fotoni decine di milioni di volte quella d’uno occhio umano. Ed è solo il primo dei cinque specchi che la luce proveniente dagli abissi dell’universo incontra prima di raggiungere i suoi strumenti.
Elt è un telescopio dell’Eso, lo European Southern Observatory, e l’Italia è in più modi protagonista della sua realizzazione. Anzitutto, è affidata a un consorzio di società italiane – formato da Astaldi, Cimolai ed EIE group – la costruzione della cupola e della struttura meccanica di supporto del telescopio: parliamo di una commessa da 400 milioni euro, la più grande mai assegnata per un progetto di astronomia da terra, per realizzare un edificio da 90 metri d’altezza e 80 metri di diametro completamente rotante, con una massa movimentabile di oltre 3000 tonnellate.
Ma c’è tanta Italia, e in particolare tanto Inaf, anche nel cuore del grande telescopio. L’Istituto nazionale di astrofisica è infatti membro dei consorzi per la realizzazione dei due strumenti Micado e Mosaic, ed è alla guida dei consorzi per la costruzione di altri due strumenti cruciali del colosso dell’Eso: il sistema di ottica adattiva multiconiugata Morfeo, che consente di correggere le distorsioni introdotte dalla turbolenza dell’atmosfera, e lo spettrografo ad alta risoluzione Andes, vale a dire lo strumento che consentirà a Elt di individuare la firma delle prime stelle comparse nel cosmo, di verificare possibili variazioni delle costanti fondamentali della fisica, di misurare con precisione l’accelerazione dell’espansione dell’universo e di cercare segni di vita in esopianeti simili alla Terra.
Non va infine dimenticato un altro cruciale contributo dato a Elt da uno scienziato italiano del secolo scorso. Un contributo concettuale irrinunciabile: la concezione dello specchio multisegmento. Quella di realizzare specchi enormi unendo tasselli più piccoli è infatti l’idea rivoluzionaria di un astronomo ebreo triestino, Guido Horn D’Arturo, una delle tante grandi menti deportate, fuggite o allontanate – come appunto nel caso di Guido Horn – dalla violenza e dall’ottusità delle leggi razziali volute dal regime fascista. Un’intuizione, quella di Guido Horn, senza la quale la costruzione di grandi telescopi come il James Webb della Nasa e, appunto, l’Extremely Large Telescope sarebbe stata semplicemente impossibile.
Servizio di Marco Malaspina
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