La strage di Via D’Amelio, i mandanti esterni e l’attentato a Nino Di Matteo

19 luglio 1992, Palermo. Un’autobomba esplode in via d’Amelio uccidendo il magistrato Paolo Borsellino e cinque dei sei membri della sua scorta. Sono passati solo 57 giorni dalla strage di Capaci e dalla morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei tre agenti della loro scorta. Oggi, ventinove anni dopo, è sempre più chiaro che ad andare in scena fu una vera e propria strage di Stato. Inchieste, processi e sentenze hanno messo in evidenza depistaggi e zone d’ombra. Le domande sono tante: perché fu ucciso Borsellino? Perché fu fatta sparire l’agenda rossa? Perché una simile accelerazione per eseguire una strage così “anomala” in Cosa nostra? Il boss Totò Riina, ai suoi fedelissimi diceva che uccidere Borsellino sarebbe stato, alla lunga, “un bene per tutta Cosa nostra“. È il collaboratore di giustizia Totò Cancemi a raccontare che Riina cambiò programma dopo aver incontrato persone ’che gli guidavano la manina
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